
“Nel ’48 quando il COMINFORM condannò la politica di Tito, la polizia jugoslava cominciò la caccia ai comunisti. La maggioranza di essi fu incarcerata, molti furono uccisi. Tra questi molti italiani. Tito ha sterminato la classe dirigente del Partito Comunista in Jugoslavia. Molti furono mandati nei campi di concentramento, nel famigerato campo di Goli Otok. Io conoscevo molti di questi compagni slavi e italiani. Ancora oggi il loro ricordo non mi abbandona. Zagabria è un’eroica città, la prima città partigiana in Jugoslavia. Là c’erano lavoratori, operai, professori, dottori, che lottavano dal primo giorno e sono stai ammazzati. Tito ha voluto cancellare il Partito Comunista Jugoslavo. Vorrei che fosse scritto un libro su quegli eroici combattenti. Io stesso dovetti scappare e nell’ottobre del 1949 andai in Cecoslovacchia dove rimasi 18 anni.”
A parlare, durante un’intervista rilasciata nel marzo 1998, non è, come si può facilmente intuire, un uomo di destra, ma il partigiano gappista e stalinista Mario Toffanin, detto “comandante Giacca”*.
Le parole di “Giacca” confermano le ricostruzioni storiografiche sulle persecuzioni messe in atto dal regime titino ai danni degli italiani, pure quando non compromessi in alcun modo con il fascismo. Se infatti il racconto si focalizza su eventi successivi alla tragedia delle foibe, è altrettanto vero che a finire negli inghiottitoi carsici e ad essere fucilati e imprigionati dalle milizie jugoslave nel 1943-1945 furono appunto anche normali civili italiani o addirittura ex partigiani.
*Toffanin fu condannato all’ergastolo nel 1952 per il massacro dei partigiani cattolici e laico-socialisti della Brigata Osoppo. L’episodio è meglio noto come “Eccidio di Porzûs”
Nella foto: Toffanin “Giacca”