“Lo dico subito che Putin non mi piace, ma sulla Cecenia ha ragione. Se diventa indipendente per la Russia è finita. Dopo la Cecenia sarà il Tatarstan, dopo il Tatarstan sarà la Siberia, poi verrà chissà chi altro, ogni regione vorrà staccarsi da Mosca. E noi, che ne sarà dei russi? Questo Paese ha una storia imperiale, noi siamo cresciuti con l’idea di appartenere a un Paese grande, enorme, sterminato. E non è una questione di orgoglio, non solo almeno. Solo se ti senti parte di una cosa grande puoi sopportare la via quando è molto dura. […] Accade spesso, per un russo, che l’unica consolazione della sua vita sia per l’appunto esser russo. E basta”.
Così una cittadina russa ad un troupe internazionale di giornalisti, nel 2006/7.
Parole che offrono una chiave di lettura utilissima per comprendere non solo quello che è accaduto in Cecenia ma anche quello che sta accadendo in Ucraina e, più i generale, la politica internazionale di Vladimir Putin e dei suoi predecessori.
E’ poi interessante osservare come la colonizzazione forzata dei popoli non-russi che oggi compongono la Federazione e lo sfruttamento sistematico delle risorse delle loro terre di origine sia argomento marginale e trascurato, a differenza di quanto accaduto ad esempio con i nativi americani negli attuali Stati Uniti e nel resto del continente.