Dall’Afghanistan all’Ucraina: differenze e parallelismi

“Mettiamo assolutamente in chiaro la nostra posizione: un tentativo da parte di qualsiasi forza esterna di assumere il controllo della regione del Golfo Persico sarà considerato come un attacco agli interessi vitali degli Stati Uniti d’America, e un simile attacco verrà respinto con l’impiego di qualsiasi mezzo necessario, inclusa la forza militare”; così Jimmy Carter, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione nel gennaio 1980.

Non si trattava di semplice retorica, e Carter lo dimostrò predisponendo una forza di 100mila uomini, la Rapid Deployment Force, da stanziare nella regione.

Anche allora Mosca aveva pensato che l’Occidente fosse troppo debole* per rispondere in modo efficace (in quel caso all’invasione dell’Afghanistan), ma come oggi la reazione atlantica fu invece pronta e decisa. Gli USA e buona parte degli alleati boicottarono infatti i Giochi Olimpici di Mosca del 1980 e, soprattutto, la Casa Bianca ritirò il trattato Salt II (i negoziati per la limitazione delle armi strategiche) dal Senato e impose un embargo sulle esportazioni agricole americane in URSS, pur rischiando di infliggere un danno pesante alla sua stessa economia.

A differenza di quanto sta accadendo oggi, la coesione fu però meno accentuata. Le potenze dell’Europa occidentale si mostrarono ad esempio meno disposte a subire contraccolpi economici da un nuovo rilancio della Guerra Fredda e ad affrontare i rischi di un’escalation militare. Emblematiche a riguardo furono le parole del cancelliere tedesco-occidentale Helmut Schmidt: “Non permetteremo che dieci anni di distensione e di polititica di difesa vengano distrutti.”

La “Dottrina Carter”, insomma, non ebbe lo stesso sostegno della “Dottrina Truman” (il paragone tra i due approcci è stato fatto da molti storici e analisti), anche perché elaborata in e per un contesto sotto certi aspetti radicalmente diverso.

*Lo smacco del Vietnam, gli shock petroliferi del 1973/1979, il Watergate, l’ondata terroristica di matrice politico-rivoluzionaria, la perdita dell’Iran/Persia e il fallimento della missione “Eagle Claw”, avevano convinto il Kremlino e un importante segmento della pubblica opinione mondiale che l’Occidente avesse imboccato la fase discendente della sua parabola storica e che sarebbe stata l’URSS a vincere la prova di forza della Guerra Fredda con Washington e i suoi alleati

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