Capire Kissinger per capire Putin

“Come lei sa, sono stato molto criticato per la posizione che presi allora nei confronti dell’Unione Sovietica. Ero convinto che l’Unione Sovietica non dovesse abbandonare così di colpo l’Europa orientale. Si stava cambiando l’equilibrio mondiale rapidamente e pensavo che potesse portare conseguenze indesiderate. E ora mi rimproverano per quelle posizioni. Si dice: « Vedete, i sovietici se ne vanno e tutto rimane tranquillo . E voi pensavate che fosse impossibile » . E in effetti pensavo che fosse impossibile. Francamente non capisco perché Gorbačëv ha fatto tutto questo”.

Così Harry Kissinger a Vladimir Putin nei primi anni ’90. L’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti aveva incontrato il futuro leader del Kremlino, all’epoca collaboratore del sindaco di San Pietroburgo Anatolij Aleksandrovič Sobčak, durante un appuntamento della Commissione Kissinger-Sobčak per sviluppare l’ex Leningrado e attirare investimenti stranieri.

Una posizione, quella del politico americano, che Putin condivideva, come ebbe a dire qualche anno dopo: “Non avrei mai pensato che avrei potuto sentire frasi dl genere dette da Henry Kissinger. Gli dissi quello che pensavo e adesso ve lo ripeto: Kissinger aveva ragione. Molti problemi non si sarebbero posti se l’Unione Sovietica non avesse abbandonato così rapidamente l’Europa Orientale “. E ancora: “La sola cosa che rimpiangevo era il ruolo dell’Unione Sovietica in Europa, anche se razionalmente mi rendevo cono che un ruolo costruito su muri e su divisioni non può essere mantenuto. Ma avrei voluto che al suo posto si costruisse qualcosa di diverso. Nessuno invece propose qualcosa di nuovo, ecco quello che mi feriva. Lasciarono semplicemente perdere tutto e se andarono”.

Quanto riportato non è solo utile per la lettura e la comprensione di ciò che sta avvenendo oggi e delle politiche putiniane. E’ infatti ormai accettato dagli storici che l’URSS gorbacioviana-eltsiniana abbia seguito un percorso riformista troppo veloce e improvvisato, abbandonando letteralmente (dopo quasi mezzo secolo di controllo pervasivo) i paesi “fratelli”, come di fatto sé stessa. Un errore di cui si manifestarono subito le conseguenze, anche per una certa complicità degli occidentali; basterà pensare alle guerre jugoslave e alle crisi economiche, politiche e sociali nella nuova Russia, dai default all’instabilità, dai confitti in Cecenia al risorgere degli estremismi di destra e di sinistra.

Negli anni ’80, è bene ricordarlo, il mondo d’oltrecortina godeva di una forte stabilità politica (eredità del breznevismo), un elemento questo che avrebbe forse consentito sviluppi più graduali ed equilibrati.

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