La Russia, l’Ucraina, la “sindrome da accerchiamento” e l’eccezione Gorbačëv

« A differenza dei suoi predecessori, non era stato direttamente influenzato (Michail Gorbačëv, ndr) dalla Grande guerra pariottica e dalle sue impronte psicologiche. Nell’estate del 1942, il suo villaggio era stato occupato dai tedeschi per quatto mesi. Ma ciò che si impresse di più nella sua memoria, in maniera forte e persistente, fu l’inizio delle deportazioni dopo il ritiro dei tedeschi. Già durante la collettivizzazione dell’agricoltura negli anni Venti e Trenta, la famiglia di Gorbačëv aveva sperimentato disagi ed oppressione; il padre era stato vittima della polizia segreta (GPU) e fu deportato in Siberia. In poche parole: la paura di un nemico esterno, che in Unione Sovietica per generazioni aveva prodotto e mantenuto un bisogno ipertrofico di sicurezza, sembrava essere, sulla base dell’esperienza stessa di Gorbačëv , non più grande dela paura dell’apparato di sicurezza interno. » ; così Hans Modrow (Pölitz, 27 gennaio 1928 – ), ultimo leader “de facto” della Germania Est.

Un ritratto lucido, quello di Modrow, che aiuta a comprendere il motivo della “diversità” di Gorbačëv, non solo in merito agli aspetti legati alle riforme, epocali, della sua leadership, ma anche (ed è oggi il punto di particolare interesse) per quanto riguarda la politica estera, con l’abbandono di quella “sindrome da accerchiamento” che Mosca accusa da sempre.

Si tratta, nello specifico, di un retaggio delle invasioni e degli attacchi portati dagli Svedesi, dai Cavalieri Teutonici e dai Lituani, prima, e dai Polacchi, dai Francesi e dai Tedeschi poi (ad Ovest) e dai Mongoli e dai Tartari, prima, e dai Cinesi poi (ad Est) e che è tra i motivi della nuova crisi con Kiev.

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