In ogni fase storica traumatica le società attraversano due tappe: la prima di “schock” e la seconda di “adattamento”. Adesso, in Italia come in altri paesi, governi e cittadini sono sempre al primo “step”, reso ancor più complesso e lungo dagli intrecci di interessi sulla pandemia e dal carattere “imprevedibile” di questo come di ogni altro virus. E’ qui che andrà forse inquadrata la “caccia” ai pochi “no-vax”, nonostante i numeri tranquillizzanti delle TI e dei decessi (ciò che conta), perché si continua, fermi all’anti-scientifico dogma del “rischio zero”, ad assegnare un’importanza capitale al semplice dato dei contagi, ritenuto di fatto una minaccia intollerabile*. La fase di adattamento, e di superamento dell’emegenza, arriverà,
ma resta da capire quando e come, se per via “pacifica”, accettando una quota, comunque minima, di morti e ospedalizzati (quel che avviene con le comuni influenze ogni anno), o se sospinta da un’insofferenza violenta, magari determinata dal peggioramento delle condizioni economico-sociali dovuto al prosieguo delle restrizioni.
Aver insistito su un linguaggio ansiogeno, aver cercato la polarizzazione , una sorta di “guerra tra bande” demonizzando intere categorie di cittadini (meridionali fuori sede che rientravano a casa, runner e passeggiatori solitari, vacanzieri, famigliole fuori porta, giovani movidari, “no-vax”, “no-pass”, dissenzienti, ecc) è stata una scelta contraria ad ogni logica sulla comunicazione d’emergenza, un avvelenamento dei pozzi che potrebbe favorire un’escalation pericolosa e cruenta.
*solo pochi mesi fa, sia Mattarella che Speranza dichiararono che anche un solo morto di Covid sarebbe stato una perdita inaccettabile