
Questo titolo, che non esitiamo a definire scandaloso convinti di mostrarci indulgenti, può essere considerato la “summa”, il paradigma, il simbolo di ciò che è stata una parte del giornalismo italiano, purtroppo non minoritaria, negli ultimi 14 mesi. Un modo di fare informazione amorale e scorretto nella forma come nella sostanza, che ha visto la complicità, e forse questa è la cosa più grave e dolorosa, di un settore consistente di un certo movimento d’opinione razionalista e progressista, che anche stavolta tace, non reagisce e resta passivo, dimostrandosi di fatto d’accordo e connivente, ancora e di nuovo.
Volendo entrare, e lo si fa con disgusto, nel merito del titoletto, la correlazione andrà invece cercata, se proprio vogliamo, nelle chiusure, che hanno reso difficili o azzerato le manutenzioni e danneggiato i macchinari imponendone il fermo.
“Dal 1859 in poi i nostri giornalisti convertirono la nobile missione della stampa periodica in traffico indecoroso, giustizia vuole che io eccettui da questa severa accusa sei o al più otto giornali; gli altri si può dire che di buon grado si mettano ai servigi e alle voglie degli ambiziosi che pagano per far strombazzare i loro nomi, i loro progetti e soprattutto le loro candidature”; così scriveva oltre un secolo fa l’editore torinese Gasparo Barbèra. Poche cose sono cambiate, da allora.
Nota: la pagina Facebook “Abolizione del suffragio universale”, tra i fari di un certo radicalchicchismo arrogante e classista (e stupido), si concentra infatti solo su un titolo di Libero, forse discutibile ma di segno opposto (“E’ la tragedia di chi voleva tornare a vivere”). Un esempio da manuale di bias cognitivo.