
Andrea Crisanti ammette di essere stato “troppo pessismista”, pur dicendosi non pentito e riferendosi ad una sola circostanza (le previsioni sbagliate, per la seconda volta, su una nuova ondata ad aprile e maggio dopo le prime riaperture). E’ tuttavia già qualcosa, se non altro un piccolo segnale agli estimatori più irriducibili del Nostro e di un certo modo di porsi e di narrare la pandemia.
Ma è con la scelta del termine “pessimista” che Crisanti ci spiega, pur involontariamente, ciò che la scienza non dovrebbe essere. La scienza non deve infatti essere emotiva, pessimista oppure ottimista, ma razionale.
Negli ultimi 14 mesi, lui ed altri sono invece scivolati in un “opinionismo” mediatico spregiudicato e di taglio perennemente catastrofistico e allarmistico che ha causato danni incalcolabili ai cittadini (già provati da una situazione durissima ed eccezionale) come all’economia ed al Paese, nel suo insieme. Per “opinionismo” si intendono appunto delle opinioni, a caldo, senza basi concrete e reali (previsioni a medio e lungo termine, giudizi su fenomeni nuovi o ancora poco conosciuti, personalissime ricette sulla gestione della crisi, ecc) e che per questo andrebbero accompagnate dalla prudenza più assoluta, pesando le parole come sul bilancino del farmacista. Specialmente se e quando si è tanto esposti e con certi ruoli.
In questa fase storica l’infodemia è stata senza dubbio una vera e propria emergenza nell’emergenza, dalle conseguenze devastanti e ancora da valutare.