L’India, il Covid e quei cadaveri bruciati: alcune precisazioni

Da quasi quattromila anni, i riti funebri induisti (“antyeshti”, “l’ultimo sacrificio”) prevedono la cremazione del defunto, all’aperto. Una pratica maggioritaria in India, se si pensa che oltre l’80% degli cittadini è di fede hindū.

Bruciare i corpi dei morti, e farlo non all’interno di strutture preposte e al chiuso come noi occidentali, è dunque una tradizione antichissima e consolidata nel Paese di Gāndhī, che nulla ha a che fare con l’emergenza Covid (al contrario, in caso di epidemia gli hindū seppelliscono i corpi).

E’ d’altro canto difficile pensare che un gigante di 3.287.263 km² per quasi 1 miliardo e 400mila abitanti, con complessità drammatiche e circa 28 mila decessi quotidiani, possa andare in tilt a causa di 2000 morti in più in un giorno distribuiti sull’intero territorio nazionale, al punto da non saper dove sistemare i cadaveri.

Senza dubbio Nuova Delhi non può affidarsi ad un sistema sanitario evoluto e un’esplosione epidemica potrebbe rappresentare un grave problema, ad ogni modo si ha l’impressione che certe immagini vengano usate (come già fu con quelle delle “fosse comuni” e delle file di bare in Brasile, in realtà antecedenti l’epidemia) per far leva sull’emotività, rafforzando la narrazione emergenziale.

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