
La decisione presa da Pfizer di annunciare l’arrivo del suo vaccino subito dopo le presidenziali americane (tanto da far parlare il Washington Post di “tempismo perfetto”) meriterà senza dubbio un approfondimento da parte degli storici come del giornalismo, quando la vicenda Covid sarà finalmente archiviata e sarà possibile una lettura più lucida, serena e agevole di quanto accaduto negli ultimi mesi.
Senza voler entrare in speculazioni dietrologiche poco convincenti e soprattutto poco utili, è infatti un esercizio di realismo considerare che Donald Trump rappresentasse e rappresenti un elemento scomodo anche per chi, in qualche maniera e a vario titolo, è coinvolto direttamente nella crisi sanitaria.
La sua clamorosa rottura con l’OMS, il non facile rapporto, e questo da subito, con Big Pharma e i giganti del farmaco (già nel suo discorso di insediamento il tycoon li accusò di tenere i prezzi troppo alti e di delocalizzare) e la sua irriducibile contrarietà ad una certa narrazione “emergenziale” sul Covid, ne sono la prova e la dimostrazione.
Sarebbe dunque ingenuo, volendo essere indulgenti, arroccarsi dietro un ufficialismo “senza se e senza ma”, dietro ricostruzioni calate dall’alto e confezionate da altri, rifiutando ogni lavoro di scavo razionale.
Ogni fase storica difficile e complessa si caratterizza inevitabilmente anche per aspetti opachi, discussi e discutibili, e quella attuale non fa del resto eccezione. Contro Trump potrebbero insomma aver agito Attori privati come statuali, con Pfizer nel ruolo di regista o di alleato o ancora di semplice vettore.
Nota: anche il fatto che tra i grandi leader mondiali gli unici a contrarre il Covid siano stati quelli più scettici rispetto ad un certo approccio alla pandemia, tre leader indicati come populisti e reazionari (Trump, Johnson e Bolsonaro, mentre si vuole suggerire che il tanzanese John Magufuli sia stato ucciso del virus quando non è così), potrebbe muovere qualche interrogativo, benché questo sia, lo riconosciamo, un terreno forse troppo accidentato.