La vergine che andò con tutti: il M5S e l’illusione (antica) della diversità

Quando ai pentastellati viene fatto notare che il M5S si è alleato con quasi tutto l’ “arco costituzionale”, dall’odiatissimo Berlusconi all’odiatissimo PD fino agli odiatissimi banchieri, sono soliti rispondere che a loro, forza post-ideologica, interessa solo e soltanto l’attuazione del programma e il bene del Paese, al di là degli steccati. Un simile pragmatismo sarebbe credibile ad esempio nei radicali ma lo è meno, molto meno, in un movimento che ha fatto di una presunta “alterità” la propria bandiera, rifiutando per anni, in nome di essa, il dialogo con gli altri partiti e attaccandoli in modo spesso violento e inaccettabile per un contesto democratico.


Come insegnava e ammoniva l’esperienza storica di altri progetti, come l’UQ o la prima Lega, non solo l’ “”alterità” non può esistere (è l’uomo a fare il partito e non il contrario) ma si rivela un’arma a doppio taglio, condannando chi la brandisce all’inazione (cioè all’opposizione) per preservarla o all’incoerenza per governare.

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