Sull’onda emotiva delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e delle grandi inchieste sulla corruzione, prima fra tutte Mani Pulite, nel primo lustro degli anni ’90 i magistrati conobbero una popolarità senza precedenti, idoli assoluti ai quali il cittadino avrebbe consegnato ad occhi chiusi la gestione del Paese. Il magistrato, eroe civile senza onta che incarna la giustizia, in contrapposizione ai politici e ai manager del malaffare.
Un bisogno, quello di affidarsi a icone salvifiche, abbastanza comune nei momenti di crisi, e che adesso si sta forse riproponendo con i medici-scienziati. Con tutti i rischi del caso, se non maggiori. Quella fase di popolarità condizionò infatti negativamente molte toghe, portandole a derive ideologiche incompatibili con la loro missione. Se, tuttavia, la loro opera di condizionamento veniva effettuata dal’esterno, delegando completamente il proprio lavoro ai medici-scienziati la politica rischia oggi di renderli unici e soli gestori e padroni del Paese, al di là del loro ruolo e delle loro competenze. Preda e vittime di un bisogno di protagonismo che già si inizia a intravedere in qualche caso, proprio come accadeva ieri con i rappresentati del potere giudiziario.
La politica non può e non deve sostituirsi alla scienza, ma è pur vero che quella che stiamo vivendo non è solo una crisi medico-sanitaria ma anche economica, politica, sociale e culturale, che andrà quindi affrontata (se destinata a durare a lungo) da diverse e molteplici prospettive e mettendo in atto soluzioni condivise.