Sta diventando virale sui social l’immagine di una donna, simboleggiante la foresta amazzonica, mentre brucia. Sotto, la scritta: “No es fuego, es capitalismo”. Se è indubbio e innegabile il ruolo del capitalismo più famelico e selvaggio (di cui politici quali Bolsonaro sono tradizionalmente tutori e alleati) nella devastazione del pianeta, messaggi del genere non possono tuttavia che venire rigettati come semplicistici e fuorvianti.
In nome della competizione con l’Occidente, di un’impronta culturale fortemente tecnico-scientifica e della necessità di costruire una società avanzata di tipo industriare che sostituisse quella contadina (“Il comunismo è il potere sovietico più l’elettrificazione di tutto il paese”, diceva Lenin), i paesi socialisti hanno infatti causato alla Terra e all’ambiente danni altrettanto gravi e pesanti. Basti pensare a disastri come quelli di Černobyl’ e del Lago d’Aral, agli esperimenti nucleari di Mosca, Pechino e P’yŏngyang senza controllo e vicino ai centri abitati, all’annientamento di interi villaggi rurali da parte di Ceaușescu e Pol Pot per favorire l’urbanizzazione, all’inquinamento prodotto dalle industrie cinesi, ecc.
Non è, in bona sostanza, il capitalismo ad avvelenare la nostra casa, ma la società umana, almeno la sua parte più egoista e scellerata.