La lettura del successo del FN al primo turno delle regionali francesi necessiterà di un’ analisi, il più possibile razionale e disancorata dall’elemento emotivo, del contesto in cui essa si è prodotta e di quelli che sono i suoi reali contorni
Ogni condizionamento partigiano rischierà infatti di inquinare il giudizio su un fenomeno senza dubbio significativo ma (non ancora) dall’impatto e dalle dimensioni dirompenti.
In particolare, si dovrà ricordare:
-la tradizione democratica francese (il Paese non conosce una dittatura dal 1870), elemento che rende impossibile qualsiasi penetrazione ad opera di soggetti e proposte distanti dalla cultura liberale.
-la differenza tra le elezioni di carattere nazionale e quelle di carattere locale. Di rado, infatti, le compagini a trazione radical-populista hanno confermato a livello nazionale i successi registrati nei comuni, nelle province e nelle regioni
-l’eccezionalità e la transitorietà della congiuntura economica (la debolezza della ripresa) e geopolitica (gli attentati di gennaio e novembre) all’interno della quale si è originata l’affermazione del FN
-il cambiamento del partito lepeniano, oggi attestatosi su posizioni meno estremistiche rispetto al passato, fattore, questo, che rende meno probabile l’erosione (anche minima) dell’attuale status quo
Limitarsi alla denuncia isterica del successo di Marine Le Pen, è, da parte della sinistra francese ed europea, uno sterile esercizio di presunzione ed un’azione autolesionistica dal punto di vista elettorale; più proficua, anche per loro, una disamina lucida e raziocinante delle cause all’interno delle quali riposa l’exploit di ieri.
L’incapacità di dare ascolto all’ “everyman”, bollando come demagogica, populista e ventrale qualsiasi iniziativa ad esso diretta e rivolta, è, ad esempio, l’arma in più di partiti come il FN e il “vulnus” delle compagini tradizionali.