Manifestazioni: il ruggito del “sorcio” (e Cassandra aveva gridato anche stavolta)

Tra gli errori commessi in questi mesi dalle istituzioni e da una parte del mondo della scienza e della politica, c’è l’aver trascurato alcuni aspetti fondamentali della “comunicazione d’emergenza” e della sua strategia d’insieme. Non solo, infatti, si è cercato l’allarmismo, in modo quasi continuo e costante, ma anche la spaccatura del “fronte interno”. Uno sbaglio, quest’ultimo, imperdonabile e dilettantesco, forse il peggiore.

La demonizzazione del dissenso, additare come irresponsabile, “complottista”, “negazionista”, fascista o ignorante chiunque muovesse delle critiche alla gestione della crisi o si allontanasse dalla narrazione dominante, deriderlo ed esporlo al pubblico ludibrio, fomentare l’odio, il sospetto e la contrapposizione invece di promuovere la coesione e la partecipazione, ha finito col rendere ancor meno sopportabili le durissime misure restrittive (talvolta già inutili se non dannose ai fini del contenimento del virus) e i loro estensori e sostenitori. Una vera e propria “lotta tra bande, una deriva che corpi intermedi quali ad esempio i sindacati non hanno ostacolato come avrebbero dovuto, venendo meno al loro ruolo e alla loro missione.

All’origine dell’insofferenza e della protesta esplose in questi giorni non c’è dunque solo lo scetticismo verso il Green Pass, così come l’assalto (pur esecrabile) alla sede della CGIL non è riconducibile solo a pulsioni ideologiche novecentesche. Come previsto e prevedibile, l’ “altra” Italia si è avvicinata al punto di rottura, sperando non lo abbia già raggiunto. La propaganda può molto, soprattutto quando arriva dal vertice, ma non può tutto.

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