
Il ritratto di Benito Mussolini è esposto al MISE insieme a quello degli altri ministri per lo sviluppo economico, carica che il Duce ricoprì dal 1932 al 1936 (all’epoca si chiamava Ministero per le corporazioni).
Per lo stesso motivo, la sua immagine è presente a Palazzo Chigi accanto a quella dei capi di governo post-unitari, nella sede del Ministero della Difesa (dicastero che presiedette dal 1922 al 1929 e dal 1933 al 1943, quando si chiamava Ministero della Guerra) e in quella del Ministero degli esteri (fu più volte capo della diplomazia italiana dal 1922 al 1943).
I suoi incarichi ed il suo ruolo nella vita del Paese sono dunque Storia, realtà fattuale e concreta che non è possibile ignorare. Altra cosa è la celebrazione, ma pretendere di cancellarlo con un colpo di spugna non sarebbe solo un approccio anti-scientifico ma significherebbe rifiutare, quello sì, di fare i conti con il proprio passato, commettendo lo stesso errore della Germania Orientale. Affrontate il proprio passato è invece saperlo guadare in faccia, analizzarlo e gestirlo in modo lucido e razionale senza suggestioni emotive ed approssimazioni partigiane.
La polemica bersaniana cerca di sfruttare con malizia l’onda lunga di quella sui vecchi busti del Duce di Ignazio La Russa ma palesa tutta la difficoltà di una certa sinistra, debole e confusa sul piano del contingente immediato e prossimo e di conseguenza costretta a ripiegare su altro, nello specifico su una tematica anti-fascista abusata e perciò svilita e resa sempre meno credibile (a danno di tutti).
L’auspicio è che non si arrivi anche da noi all’inquietante paradosso della “cancel culture” d’oltreoceano, con i monumenti e i ritratti di imperatori, sovrani e navigatori mandati a raccogliere la polvere nelle soffitte e negli sgabuzzini.
Nota: in Italia la toponomastica omaggia ancora l’Unione Sovietica, Lenin e Tito