“Lei non conosce gli uomini del Sud (degli USA, ndr). Noi portiamo le ami in tasca. Se non la smette di menare il can per l’aia e non ci consente di tornare al lavoro, tirerò fuori dalla mia tasca una bomba atomica e gliela tirerò addosso”. Così James F. Byrnes, 49º Segretario di Stato americano e direttore della mobilitazione bellica, al ministro degli Esteri Sovietico Molotov nel corso di un incontro con gli Alleati a Londra per decidere il futuro post-bellico dell’Europa.
Le minacce di Byrnes, all’inizio uno dei “falchi” dell’amministrazione americana, tra i favorevoli al bombardamento atomico del Giappone e tra i contrari alla condivisione delle informazioni sulla “bomba” con Mosca (a differenza, ad esempio, del fisico Julius R. Oppenheimer e del Capo di Stato maggiore George C. Marshall), non spaventarono la delegazione sovietica ma la resero più “testarda” e “ostinata”, come da ammissione dello stesso Segretario di Stato.
Dopo quell’esperienza, Byrnes scelse posizioni più morbide e comprese, e con lui altri, che la minaccia nucleare non ha un peso effettivo nella diplomazia, o meglio non può essere usata come strumento di pressione e ricatto al posto dei consueti e tradizionali sistemi di relazione, scambio e confronto
Una lezione che oggi dovrebbe invece riprendere Mosca, impegnata in una continua e incessante retorica apocalittica così da mascherare le sue debolezze e difficoltà nello scenario ucraino (e non solo).