Dieci italiani per un russo

La paura della “bomba” e i meccanismi di difesa del fronte putiniano

Nel film “Dieci italiani per un tedesco (Via Rasella)” del 1962 sul massacro delle Fosse Ardeatine, viene mostrato una personaggio, fascista e figlio di fascista, che una volta messo in carcere (si trovava tra i rastrellati) comincia a gridare agli altri che lui non è come loro, non è un comunista, uno “sporco ebreo”, per questo i tedeschi lo libereranno mentre i compagni di cella finiranno davanti al plotone di esecuzione o nei lager. Ad un certo punto afferra anche per un braccio un soldato di guardia e gli dice: “Camerata, io sono un fascista! Mio padre è un fascista!”. Quest’uomo aveva capito benissimo quale sarebbe stato il suo destino, ma così facendo cercava di illudersi di essere “speciale”, dalla parte dei carnefici, e che questa “amicizia”, questa diversità”, gli avrebbe salvato la vita.

Benché la Russia vanti anche delle incontestabili ragioni, nella disputa con l’Ucraina, l’operazione del 24 febbraio l’ha automaticamente messa dalla parte del torto. Molti putiniani d’Italia lo sanno, consciamente o inconsciamente, ma negandolo non difendono solo una posizione ideologica ma si illudono che la loro vicinanza a Putin li renda “diversi” dagli altri, immuni dalle conseguenze di un’escalation, protetti dalla tensione causata dalla crisi attuale. Sono come quel prigioniero e mettono in atto lo stesso meccanismo psicologico di autodifesa. A differenza sua non moriranno, però, per il semplice motivo che un ricorso alle atomiche è impossibile e fuori discussione.

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