Nel 1987, lo psicologo James Robert Flynn, docente di Scienze Politiche all’Università di Otago, in Nuova Zelanda, mise a confronto i risultati dei test sull’intelligenza effettuati su un campione di bambini nel 1947 e nel 1972 , osservando che nell’arco di 25 anni il QI era aumentato di ben 8 punti. Il professore arrivò alla conclusione che, almeno nelle nazioni sviluppate, il QI tendeva ad aumentare di generazione in generazione in una misura dai 5 ai 25 punti.
17 anni più tardi, nel 2004, l’Università di Oslo scoprì però che dal 1970 al 1993 questo trend era via via rallentato, per poi invertirsi: il QI diminuiva mediamente dello 0,25-
0,50%.
Dall’ “Effetto Flynn” si era così passati all’ “Effetto Flynn rovesciato”
Il fenomeno appena descritto è dovuto anche all’ “infodemia”, cioè al sovraccarico di informazioni e nozioni che rende difficoltosa la rielaborazione, la riflessione consapevole. Un’ abbuffata indotta tossica e intossicante, di cui stiamo avendo un esempio tristemente paradigmatico negli ultimi mesi. Dai media, ai social network, ai politici, alle “virostar”, sono sempre più i canali che vomitano notizie, spesso inesatte e in contrasto tra loro, contribuendo non solo alla confusione ma anche a un indebolimento delle capacità analitiche e di filtraggio.