La caduta dall’amaca e quei bersagli sbagliati

« Nel delicato e inevitabile tira e molla sui ristori, i risarcimenti e i vari soccorsi pubblici a disposizione di chi è stato messo in difficoltà dalla pandemia, un poco dispiace sentire, quasi in ogni tigì, rappresentanti di categoria lamentarsi perché i quattrini in arrivo non coprono la perdita subita, se non in parte. Ci si domanda chi abbia risarcito i nostri nonni, i nonni dei nostri nonni, e indietro nel tempo fino all’uomo di Cro-Magnon, dei lutti e dei rovesci indotti dalla caterva di guerre e pestilenze che affliggono l’umanità da quando esiste. Ve lo dico io: zero risarcimenti, e un sospiro di sollievo se si era ancora vivi e con un po’ di pane in dispensa. Mi permetto di dire che tra le tutele inesistenti del passato e quelle magari insufficienti e però consistenti di adesso, c’è un lungo percorso politico, di assistenza pubblica e di solidarismo organizzato, che fa di noi, oggi, dei figli di un dio maggiore (lo Stato! Il Welfare! L’Europa!). Pretendere che TUTTO quello che è stato perduto a causa della pandemia ora piova dal cielo, è abbastanza protervo e parimenti sciocco: la sfiga esiste, per dirla in parole povere eppure ricche di significato. Esiste per tutti, esiste da sempre, così come non esiste il diritto alla fortuna, alla ricchezza, al reddito invariato nei secoli. Ci sarebbe da aggiungere, volendo, che alcune delle categorie più indignate per l’esiguità dei ristori sono le stesse che hanno contribuito più pigramente (diciamo così) a fare cassa comune, ovvero a pagare le tasse in proporzione agli incassi. Avessero almeno l’eleganza di fare finta di niente, sarebbe meglio. »

Quest’analisi di Michele Serra è superficiale dal punto di vista economico, è poco onesta dal punto di vista politico (non riconosce alcuna delle colpe dei governi Conte II e Draghi attribuendo al virus ogni problema di questa fase), è inconsistente dal punto di vista storico mancando di capacità contestualizzatrice, relativizzatrice e quindi prospettica (cita come termini di paragone epoche lontane o addirittura preistoriche salvo riconoscere in un secondo momento il ruolo dell’evoluzione politica, culturale e sociale) ma soprattutto disvela un’assenza di empatia, che rasenta l’astio, nei confronti di commercianti e imprenditori. Ed è qui che le parole dell’umorista di “Repubblica” si fanno emblematiche, se vogliamo un “manifesto”, del pensiero di una certa sinistra (e di un certo grillismo) e del suo approccio gestionale al fenomeno pandemico, considerato lo strumento per aggredire, con l’arma delle restrizioni e il pretesto dell’ “emergenza sanitaria”, il capitalismo o per invertire la rotta consumistica ed eco-dannosa della società contemporanea.

L’ obiettivo non è tuttavia solo utopistico se si considera che, paradossalmente e com’è ormai ben noto e documentato, le odierne misure di contenimento (spesso inutili se non dannose ai fini del controllo delle curve) stanno proprio avvantaggiando i grandi capitalisti, le grandi corporation, le techno-corporation, il capitalismo deviato e quello bancario, aumentando il divario tra i più ricchi e i più poveri, tra il Sud e il Nord del Paese e del mondo, devastando il ceto medio e colpendo in maggior misura le donne.

Illudendosi di far del male ai “padroni del vapore” e/o di arrivare alla “decrescita felice” penalizzando il ristoratore, l’albergatore o il proprietario di una palestra, si otterrà quindi l’effetto opposto nei suoi esiti più drammatici, come peraltro insegnerebbe la Storia volendola ascoltare e capire.

12Ilaria Marchi, Antonio Tognocchi e altri 10Commenti: 9Mi piaceCommentaCondividi

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