Onesto quanto e non più di altri, non compiutamente marxista (e per questo inviso a Mosca come agli ortodossi di casa nostra) né compiutamente socialdemocratico, vincente solo da morto, Enrico Berlinguer è oggi una figura iconizzata ben al di là dei suoi reali meriti storici. Quello che forse è da considerarsi il suo contributo più significativo, la “Terza Via”, mostrò invece tutto il suo velleitarismo naufragando nell’applicazione pratica degli indirizzi gorbacioviani, incapaci di delineare un percorso che coniugasse l’Ottobre e i valori della cultura democratica.
Una certa “laudatio temporis acti” (tanto presente nella cultura italiana), il suo ruolo di ultimo grande leader del PCI, un’umanità senza dubbio più empatica rispetto ai suoi predecessori e l’assenza di una guida altrettanto carismatica a sinistra, hanno contribuito ad un’agiografizzazione del personaggio che, come detto, non trova riscontro nell’elemento storico e fattuale.
Ben più significativa e dirompente, nel bagaglio esperienziale della sinistra e della politica nazionale, l’impronta di un Pietro Nenni.