
Insieme alla straordinaria longevità del suo regno, la rigida e perfetta adesione al protocollo istituzionale ha contribuito in modo decisivo alla costruzione del mito elisabettiano, stagliandola come simbolo di stabilità, senso di responsabilità e certezza rispetto al caos non solo del mondo e di un Paese complesso ma anche della sua stessa famiglia.
Allo stesso tempo, però, proprio il non essere quasi mai andata oltre il sentiero del formalismo ufficiale le ha impedito di liberare una giusta empatia (limite imperdonabile in un mondo mediatizzato) e di assecondare, vivere e interpretare in maniera attiva quelle moltissime ed uniche istanze rivoluzionarie che hanno caratterizzato, in senso positivo, il Novecento post-bellico. Cosa che invece Diana faceva, a suo modo, e che forse avrebbe continuato a fare.
A differenza di una Vittoria, perfetta e ideale protagonista della sua epoca, Elisabetta è quindi stata spettatrice della propria, anche se da una postazione privilegiata e benché la valutazione possa sembrare oggi azzardata e “blasfema”,
Per questo, i posteri, che saranno liberi dalla suggestione contemporanea della “regina di tutti” (non lo fu mai), la ricorderanno soprattutto, se non essenzialmente, per gli oltre 70 anni sul trono e per le burrascose ed oscure vicende familiari.