Cuba Libre? Purché non vada di traverso

Nell’accostarsi alla situazione cubana, molti occidentali, spesso anche analisti di indubbio prestigio, commettono l’errore di usare i loro parametri, i parametri del mondo occidentale, del Primo Mondo. Di conseguenza il confronto non potrà che risultare, nella maggior parte dei casi, impietoso per l’isola. Analizzando la realtà di Cuba inserendola in quello che è il suo contesto geografico e geopolitico, cioè l’area caraibica e meso-americana, apparirà invece un quadro molto diverso del Paese della “Revolución”.

Cuba non è una democrazia (non lo era nemmeno prima del 1959) e non è un Paese ricco, ma anche gli altri stati limitrofi hanno sperimentato o stanno sperimentando regimi non democratici o democratici solo sulla carta e sono storicamente imprigionati in una condizione di arretratezza e ritardo. A differenza loro, però, i cubani hanno potuto godere di 62 anni di stabilità, autonomia, sicurezza e, soprattutto, possono fare affidamento su un sistema avanzato in settori-chiave della società, come l’istruzione, la sanità e il welfare, con parametri non lontani, se non talvolta superiori, a quelli occidentali.

Sandro Pertini diceva che la peggiore delle democrazie è preferibile alla migliore delle dittature, ma un lucido esercizio di realismo impone, in casi come questo, riflessioni più approfondite e disincantate. Il Cuba Libre è buono ed ha un buon sapore, ma se la fine del Socialismo (di ciò che ne resta) significa tornare ad essere una “repubblica delle banane”, una delle tante, un bordello e un casinò a cielo aperto, terreno di caccia degli USA , dei potentati stranieri e delle mafie, se i cubani devono vedersi portar via, in nome di qualche obsoleta teoria pseudo-liberista, i diritti sociali acquisiti , o, peggio, se devono trovarsi scaraventati in una drammatica instabilità come quella dei popoli usciti dalle “primavere arabe”, allora, forse, è meglio posarlo sul bancone e rimandare la bevuta.

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